Ore 8:30. Arrivo dal Cliente e mi preparo per il workshop che inizierà di lì a poco, alle 9. E’ il momento che preferisco: mentre ripasso mentalmente la Roadmap che ho “progettato” per il Workshop, apro la “valigia da stiva” che uso per portare con me i due set LEGO® SERIOUSPLAY® (il 2000430 “Identity and Landscape Kit” e il 2000431 “Connections Kit”) ed inizio a togliere dal suo interno i circa 20 kg di mattoncini LEGO® e DUPLO® e a disporli sul tavolo. Preparo poi le “vaschette” in cui dispongo una selezione (quasi fosse una “campionatura”) degli elementi che i partecipanti troveranno poi sul tavolo e mi gusto lo sguardo di stupore dei miei referenti presso l’Azienda nel rivedere quel “materiale” cui erano (o magari ancora sono) tanto affezionati comparire sul tavolo. Intanto la preparazione prosegue: preparo le “slide” delle “regole della casa”, della descrizione del Core Process e soprattutto quella con la versione per i partecipanti della Roadmap, così che i partecipanti sappiano sempre a che punto del Workshop si troveranno. Tengo a precisare che le “slide” sono in realtà i fogli di carta di una lavagna a fogli mobili, perché volutamente non uso PC, PowerPoint e proiettore: distraggono i partecipanti e il Workshop sarebbe sin troppo simile al classico meeting aziendale cui normalmente si partecipa in Azienda.
Ore 8:55. Il Workshop sta per cominciare. I partecipanti iniziano ad arrivare in aula e si trovano davanti il tavolo con gli “Starter Kit” o le “Window Exploration Bag” in corrispondenza dei posti a sedere che presto dovranno andare ad occupare e con il centro del tavolo stesso ricoperto di mattoncini LEGO® e animali DUPLO®. Subito iniziano a guardarsi l’un l’altro con un misto di sorpresa (“cosa ci fanno tutti quei mattoncini LEGO® in ufficio?”) , timidezza (“sono troppo vecchio/vecchia per giocare con i mattoncini”), diffidenza (“con tutto quello che ho da fare, perché mi fanno perdere tempo con un giocattolo?”) o velato entusiasmo (“vuoi vedere che ci fanno giocare con i mattoncini?”). In realtà, quello che stanno provando non è altro che quella sensazione di nostalgia mista a un minimo di vergogna tipica dell’adulto che si trova davanti ad un giocattolo che sempre, inevitabilmente, i mattoncini LEGO® portano con sé, facendoci tornare alla spensieratezza e felicità che da bambini ci procuravano le tante ore passate a costruire mondi e a inventare storie. I partecipanti ancora non lo sanno, ma costruire modelli e “inventare” storie (ovvero metafore) è proprio quello che stanno per dover fare.
Ore 9:00. Il Workshop inizia. Proprio per rompere fin da subito le barriere psicologiche e far subito entrare i Partecipanti nel “flusso virtuoso” del Workshop e seguendo il preziosissimo suggerimento del collega ed amico Giorgio Beltrami, faccio subito iniziare il Workshop con la prima applicazione delle cosiddette Skills Building, meglio noto come “l’esercizio della Torre”. Mettere fin da subito alla prova le proprie mani, iniziare fin da subito a costruire infatti, permette di rompere del tutto gli schemi abituali dei normali meeting o corsi e permette ai Partecipanti di iniziare fin dai primi minuti a “scaldare i motori” della creatività e del pensiero creativo. Presentazione di me stesso e del mio ruolo di Facilitatore, l’introduzione al Metodo LEGO® SERIOUSPLAY® e alle “regole della casa” verranno dopo, quando ormai i Partecipanti avranno capito che non sarà la abituale e noiosa riunione di staff o la solita e spesso vista come inutile sessione di formazione obbligatoria.
Le prime fasi del Workshop, chiamate Skills Builiding proprio per questo motivo, permettono di superare la iniziale “paura” o “sindrome da foglio bianco” del non sapere cosa costruire. Superato questo scoglio iniziale infatti, si scoprirà che costruire un modello fisico e tangibile che rappresenti la metafora di concetto astratto non è poi così difficile come si crede: il “trucco” è iniziare a costruire senza pensare troppo a cosa si vuole costruire, evitando quindi di fare meeting con sé stessi. Il solo creare qualcosa con i mattoncini infatti fa scattare nella nostra mente tutta una serie di meccanismi che ci faranno realizzare un modello che conterrà molti più significati di quelli che avevamo ipotizzato, pensato e “progettato”. Grazie alla guida del Facilitatore, i Partecipanti scopriranno di essere in grado di esprimere, formalizzare e concretizzare molti più concetti di quelli che era loro intenzione “manifestare” in quanto hanno costruito, trovandoli direttamente nel modello stesso.
E’ questo il segreto del Metodo LEGO® SERIOUSPLAY®: utilizzando le mani per costruire, in chi partecipa ad un Workshop LSP si attivano aree del cervello che tipicamente non vengono interessate o coinvolte nel corso di una conversazione tradizionale, e sono proprio queste aree che aiutano a creare e costruire contenuti, idee, concetti ed emozioni che poi ci si ritroverà all’interno dei propri modelli, senza per altro essersi resi conto a priori di averceli messi o di aver pianificato di metterceli.
Questo è il segreto del Metodo, ma è la sua struttura a conferirgli tutta la sua “potenza”. Il Metodo LEGO® SERIOUSPLAY®è infatti strutturato sulla base di sette tecniche, denominate Application Techniques, che applicate ed eseguite nella corretta sequenza in base all’obiettivo del Workshop, portano al risultato voluto. Ancora più importante però è la struttura che sta alla base delle sette Application Techniques, e denominata appunto Core Process:
1. “Posing the question” o “Sfida”: corrisponde alla domanda, specifica e progettata in fase di disegno del Workshop, che il Facilitatore pone ai Partecipanti ed alla quale questi ultimi dovranno rispondere costruendo. Il Facilitatore pone la domanda (lancia la sfida) e fissa anche modalità e regole che si dovranno rispettare costruendo
2. “Construction” o “Costruzione”: è la fase durante la quale i Partecipanti, NESSUNO escluso, costruiscono il modello che sarà la “risposta” alla “domanda” posta dal Facilitatore. Cruciale in questa fase è l’utilizzo da parte dei Partecipanti del concetto di Metafora: si deve costruire un modello che rappresenti il significato che si intende dare al modello stesso in risposta alla “domanda” posta dal Facilitatore, non un modello che “visivamente” rappresenti un oggetto in maniera tridimensionale
3. “Sharing” o “Condivisione”: dopo aver costruito il proprio modello, CIASCUNO dei partecipanti racconta agli altri la “storia” del modello stesso, ed è qui che avviene la magia del Metodo. E’ proprio in questa fase infatti che i modelli prendono ed assumono il significato che il Partecipante ha voluto dargli ed è qui che si concretizzano quindi i contributi di ciascuno
4. “Reflecting” o “Riflessione”: è la fase in cui ci si confronta, si discutono gli esiti della Condivisione e si traggono le conclusioni, così che siano da tutti condivise e capite
Ore 13:00. Il Workshop è finito. I Partecipanti sono esausti (è sempre molto coinvolgente dal punto di vista emotivo, e quindi assorbe molte energie) ma molto, molto soddisfatti: tante delle tematiche e delle questioni legate all’obiettivo del Workshop sono più chiare, gli obiettivi sono stati raggiunti, contributi significativi sono arrivati da colleghi che raramente hanno avuto occasione, modo, voglia o possibilità di darne e il risultato conseguito è molto maggiore della somma delle idee, delle conoscenze e delle esperienze dei singoli.
Ore 14:00. Il workshop è finito… anche per il Facilitatore. Tutto ciò che i Partecipanti hanno costruito è stato smontato. I mattoncini sono tornati nei loro contenitori, e insieme alle vaschette “di campionario” sono di nuovo nella valigia da stiva, pronti per il Workshop successivo. Grazie alle foto scattate durante il Workshop e agli appunti presi, anche la bozza del report che è buona norma che il Facilitatore sia solito consegnare alla “committenza” è pronta (meglio farla subito, a esperienza appena finita, così da massimizzare i dettagli ancora freschi in memoria): verrà completata e inviata una volta rientrato alla base.